Sembra che a Socrate le piante dicessero poco o niente: “Il fatto è che a me piace imparare, ma la campagna e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla, a differenza degli uomini della città.” (Platone, Fedro).
Anche Costanzo Preve, filosofo di ispirazione marxiana hegeliana, scrivendo dell’ultimo Jean-Jacques Rousseau giudicava un fallimento il suo essere finito in giardino a contemplare piante selvatiche. Il giardino è un rifugio rassicurante, annotava Preve, perché a differenza degli uomini le piante non parlano.
Perfino Jung, seppure in seguito interessato alle piante addirittura in prospettiva alchemica, osservava che una particolare passione per le piante potrebbe essere indizio di disturbo evitante; persona che distogliendo per timidezza, timore, o orgoglio, la libido dai suoi simili fa sì che si convogli nell’inconscio, dove ritorna a lui in forme arcaiche e infantili, talora producendo nevrosi.
Diagnosticato il disturbo non è semplice formulare una prognosi anche se sembra sia perlopiù favorevole, ma il decorso è lungo.