David Hume (1711–1776) nel suo “Trattato sulla natura umana” nega l’esistenza dell’Io con parole chiare e semplici: “Quando rifletto su me stesso, non percepisco mai questo io senza una o più percezioni, né percepisco mai altro fuori da queste percezioni. E’ l’insieme di queste, dunque, che forma l’io […] l’annientamento che alcuni suppongono seguire alla morte e distruggere interamente l’io, non è altro che l’estinzione di tutte le particolari percezioni”.
Appare evidente che Hume è un filosofo singolare[1], per visitare e verificare il suo pensiero non basta ragionare ma occorre sperimentare, così ho provato a verificare empiricamente se ciò che credo essere il mio io esiste davvero, o se invece è una entità immaginaria prodotta dalle percezioni sensoriali e coincide con queste, come sostiene Hume. Ma vedersi l’io è operazione più macchinosa che guardarsi l’occhio senza specchio. Un buon stratagemma per catturarne la sussistenza è quello di intrappolarlo nell’istante del risveglio mattutino, non appena esce dalla tana del sonno profondo impersonale. Una sera mi ero, così, proposto di osservarmi la mattina successiva all’istante del risveglio per acchiapparlo.
Per tre mattine mi ero risvegliato scordandomi del proposito, ma alla quarta avevo agito per tempo e appena aperti gli occhi avevo percepito con precisione sorgere spontanea l’impressione-idea “sono”, immediatamente seguita dal pensiero “sono io” mica un altro, e da qui all’istante e a valanga ho provato sensazioni, passioni e emozioni, venirmi da tutto ciò che mi circondava che si mischiavano a quelle che emergevano dalla memoria. Ho così provvisoriamente[2] concluso che l’io è e c’è indipendentemente dalle percezioni che proviamo, solo che è difficile individuarlo perché anticipa di pochissimo tutto ciò che percepiamo e in un baleno diventa un tutt’uno con esso. Forse Hume non è stato abbastanza rapido?
______________________________________
1 Nel “Trattato sulla natura umana” nell’affermare il primato delle impressioni, ovvero sensazioni, passioni e emozioni nell’atto in cui vengono provate, e giudicando le idee immagini illanguidite delle impressioni, opera un capovolgimento filosofico che mina le concezioni classiche dall’Essere parmenideo, delle Idee platoniche e del loro mondo con correlati Universali. Sviluppando le semplici premesse suesposte detronizza, o comunque problematizza in massimo grado, il principio di sostanza, di spazio, di tempo, di estensione, di io, di libero arbitrio, di causa e effetto e ovviamente di causa prima. Di tanto in tanto un bel rimescolamento del mazzo di carte ci vuole e Hume lo sa fare, per questo al di là dell'essere in accordo o in disaccordo con la sua filosofia è innegabile che il frequentarlo ci permette di vedere le cose da una prospettiva diversa. Angolazione in ogni caso proficua perché ci consente di rivedere consapevolmente concezioni tradizionali che non di rado percepiamo vere solo per il fatto di averle introiettate erigendole a regole generali condivise, concezioni anche giuste ma sovente inconsapevoli, che Hume problematizzandole ci restituisce risvegliate. Riguardo questo capovolgimento di prospettiva è giusto ricordare che già Tommaso d'Aquino, attingendo da Aristotele, affermava che "nulla è nell'intelletto che non si trovi prima nei sensi", giungendo però a tutt’altre conclusioni rispetto a quelle di Hume.
2 Resta ancora da spiegare chi o cosa ha percepito l'io uscire dalla tana. Forse una sorta di onnipervadente coscienza universale?