Tutto considerato rispetto ad un fisico teorico che asserisce certezze indiscutibili e definitive su enti che il suo occhio non può vedere, perché troppo piccoli o perché troppo grandi, o perché se li guarda quelli mutano, ottempera di più il metodo scientifico quel teologo che, consapevole dei limiti del suo operare[1] tenta ipotesi che giudica provvisoriamente plausibili. Di solito succede il contrario ed è il teologo che fa la sua sparata ritenendola valida una volta per tutte, mentre lo scienziato è consapevole del fallibilismo delle proprie congetture, atteggiamento necessario per affinare i suoi strumenti di indagine e controllo, ma talvolta capita anche l'opposto.
A ben vedere il potenziale discrimine che genera antagonismo fra il teologo e lo scienziato, il poeta e il filosofo, l’economista e l’artista, e pone fra loro in conflitto gli esponenti di specifici e giustamente autonomi[2] saperi, inclusi gli esponenti dei differenti saperi che albergano sparpagliati nella nostra mente, non è dato tanto da ciò che indagano e neppure dalla specifica disciplina che utilizzano ad hoc, ma dall’insorgere del fondazionalismo che pretende di sottomettere ad uno specifico e distinto sapere tutti gli altri, ma distinto non significa diviso e neppure unico e nemmeno sovrastante.
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1 Anche l’occhio del teologo teista al pari di quello del fisico teorico e del cosmologo non può vedere, a faccia a faccia, ciò che indaga, però se putacaso riuscisse a vederlo ha il vantaggio che Quello [Dio] non dovrebbe mutare quando è osservato. In teoria, beninteso...
2 Senza distinzione e autonomia dei saperi prima o poi ci si impantana in ingenui olismi (paciughi) New Age.