Tra un paio d’ore dovrebbero consegnarmi le cento piante di Salvia officinalis ordinate avantieri. Anche questa volta il lavoro di analizzare e decidere come e dove piantumarle, nel paio d’ettari a disposizione. A filare? A gruppetti di tre? A ruota in gruppo di cinque o di dieci? E perché? In quali punti del fondo? Vicino a quali piante? A quale distanza dai muretti a secco?
Problematica estetica e botanica ma non solo: occorre una sintesi tra il naturale (le salvie) e l’artefatto (la mia scelta nel piantumarle); tra fenomenologia (oggetto) e idealismo (soggetto). Di solito programmo l’operazione razionalmente ma poi con i piedi per terra e la pianta in mano non di rado una strana forza me le fa piantare d’impeto con una precisione millimetrica da tutt’altra parte. Forza ignota efficace nel raggiungere una discreta unificazione del molteplice, come se accordasse il mio punto di vista a quello della salvia.
Forse è la forza che muove gli artisti, ma non escludo che tale interpretazione sia un mio delirio. Sentenzieranno le salvie.