Al primo caffè programmo la potatura dell’uva fragola, Stalin alla stessa ora firmava l’esecuzione di condannati a morte. Liste di decine, di centinaia, di migliaia di condannati. Provo a superare il ribrezzo per le Grandi purghe e come fa un attore col personaggio che vuole mettere in scena entro nella mossa di quella mano di uomo che firma le condanne:
plausibile che non firmasse obtorto collo ma con soddisfazione. Soddisfatto di cosa? E da dove attingeva tale inumana levità? Quale pensiero attivava e sosteneva quel “procedete!”? Perché per scelte del genere non basta la cattiveria personale e neppure un progetto ideologico che per realizzarsi programma l’eliminazione di elementi di disturbo. C’è di più, c'è altro:
forse quelle firme non sono attivate da circoscritti voglio questo, non voglio quello, ma da un desiderio di personale assoluta infinitezza alla quale, paradossalmente, soggiace anche l’io del carnefice: una sorta di mistica dove il soggetto per raggiungere una divina onnipotenza si omette. Un emulare l’impersonale (non imputabile) natura che tira dritto nel suo costante accrescere, senza però ricalcarne ordine e misura.