Accendo il sigaro e osservo l’acanto sotto l’ulivo, penso ai miei vicini che più invecchiano e più considerano di abbandonare la campagna per andare a vivere in paese, così da avere parenti e ospedale a portata di mano putacaso la prostata ipertrofica gli bloccherà il piscio. Li comprendo ma preferirei, se possibile, schiattare sotto quest’ulivo. Tutta un’altra estetica.
C’è un bel avverbio latino: sponte che regge l’aggettivo spontaneo. Riferito agli umani significa l’attivarsi per propria volontà, invece la spontaneità della natura è cosa strana: a una prima osservazione la natura appare come un funzionamento costretto e ripetitivo quanto una pressa della Breda, il punto è che della pressa sappiamo il progettista, chi la mette in moto, i processi e gli scopi, ma della natura no. Come accade lo spontaneo ripetersi della natura? Può esistere spontaneità sprovvista di volontà? Siamo alle aristoteliche cause, roba vecchia ma per nulla superata e qui sponte riferito alla natura apre a proficue ambiguità:
«Quest’ordine del mondo, che è lo stesso per tutti, non lo fece né uno degli dei, né uno degli uomini, ma è sempre stato ed è e sarà fuoco vivo in eterno, che al tempo dovuto si accende e al tempo dovuto si spegne» (Eraclito, frammento 30). Qui si sentenzia l’opposto di Genesi, eppure evocando questa spontanea e ordinata volontà auto causata (causa sui) percepiamo nella natura la stessa solennità del Dio biblico, anzi di più. Forse la differenza più che di sostanza è di genere letterario; di narrazione. Se Dio c'è è un tipo spontaneo.