Siccome ognuno ha l’imprinting che ha e il vocabolario che può, non ho trovato di meglio che prendere in prestito dalla storia della Chiesa e dintorni il lemma ‘secolarizzazione’ per definire quel ottemperare faccende, guadagnare denari, esercitare diritti e rispettare doveri, derivanti dalla contingenza del trovarmi adesso in questa parte di mondo, così da distinguerli dal rapporto quotidiano che ho con la natura, dall’indagine delle realtà ultime, universali, eterne e assolute (non necessariamente soprannaturali).
Dimensioni, quella secolarizzata e quella universale, che gli uomini di pensiero interpretano come regni differenti e separati, altre volte sovrapposti e mischiati e persino coincidenti in quanto l’assoluto è visto immanente al mondo (Spinoza) o, all’opposto speculare, perché espresso dalla storia umana (Hegel); realtà in ogni caso concettualmente distinte.
Il punto è che delle realtà universali, ultime e assolute, non si occupano solo i teologi di una qualche confessione e i metafisici della trascendenza che tendono a Dio, ma anche filosofi per nulla religiosi, naturalisti atei ed anche fisici teorici miscredenti, che pertanto potrebbero affermare a ragion veduta: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36).