Sovente la corte osanna il principe a prescindere dal suo valore reale, legittimando la fondatezza del suo pensare, anche quando pensa male, con l’importanza della sua carica, privandolo così della personale autorità di intendere e di volere. Montaigne, per far recuperare al principe un minimo di responsabilità personale, così da proteggere il suo equilibrio mentale, consigliava di interrompere quel lodarlo a oltranza per sbatterlo su un cavallo che, per sua natura, disarciona il figlio del re come il figlio del facchino.
Non di rado anche la fondatezza del pensiero della vittima è legittimato dall’intensità della sua sofferenza, invece che dal valore nel merito, una sorta di sacralizzazione della vittima che la pietrifica in un limbo di immaginaria onnipotenza condivisa non profanabile. Forse quel «Lazzaro, vieni fuori!» è latrato che la desacralizza, così da liberarla finalmente dall’incantesimo.