C’è chi estroverso è incline a vivere la circostanza in semplicità e chi introverso la vive riflettendo, anche se di solito mischiamo i modi le due differenti tipologie umane esistono, ognuna con i suoi vantaggi e svantaggi. Ciascuna tipologia non è, di per sé, necessariamente più sana e valorosa dell’altra, dipende dalla fattispecie.
Un efficace strumento per indagare gli estroversi, mi sembra, il concetto semiotico della “sospensione dell’incredulità” (Samuel Taylor Coleridge, 1817), che adottiamo nel visionare film, teatro e opere artistiche di fantasia, romanzi inclusi. Nella sospensione dell'incredulità lo spettatore sceglie, più o meno consapevolmente, di inibire parte delle personali facoltà di pensiero - critiche, logiche e d’indagine - per godere senza riserve l’opera come vera anche se finta. C’è da osservare che la semiotica artistica può talvolta manifestare appieno la vita reale in quanto, se artefatto ben fatto, può restituire (attraverso la finzione) un elaborato extra genuino della realtà in forma condensata.
Siccome tale dinamica vale più per l’arte che per il vivere concreto, nell’indagare l’estroverso potrebbe rivelarsi utile espandere il concetto di sospensione dell’incredulità alla vita “reale” nella sua totalità. In fin dei conti l’estroversa assenza di riflessione che tutto semplicizza è una strategia esistenziale che tralasciando di indagare origine, motivi, scopi, cause e fine del vivere - incongruenze incluse: sofferenza, ingiustizia, morte - immagina di godere al meglio dell’opera. E’ un modo anche questo e nonostante le personali amputazioni non tra i peggiori. Saperlo è, però, meglio: talvolta l’estroverso realista può essere più allucinato del riflessivo.
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Filosofia di strada