Brianza, primi anni 60, scuole elementari. Il maestro in classe fumava le Kent, lunghissime, dal filtro bianco. Ero seduto in mezzo all’aula, non troppo vicino alla cattedra ma da lì riuscivo ancora ad apprezzare l’aroma del tabacco. Il maestro si chiamava Panìco e veniva dal Salento, effettuava aspirazioni prolungate, andava in apnea e la fragranza del tabacco mi penetrava elargendomi soddisfazione.
Dal mio posto potevo agilmente picchiare quelli ai primi banchi, bambini pallidi che si nutrivano di yogurt e difendermi dai teppisti dell’ultima fila Pasquale, Salvatore e uno che di cognome faceva Visconti, tutti e tre ripetenti. Ero attratto dai teppisti anche se li temevo, mai avuto con loro conflitti pesanti. Visconti si masturbava nel bagno della scuola, diceva che sentiva un “gusto bello” mentre emetteva rantoli. Io ci avevo provato ma il gusto non lo avevo avvertito, forse non avevo fede sufficiente. Nella ricreazione si andava nel piazzale esterno della scuola, Visconti riciclava gomme da masticare calpestate staccandole con un bastoncino dall’asfalto, continuava a raccoglierle e masticarle finché non gli stavano più in bocca. Mentre gli altri compagni correvano, passeggiavo con Adelio per parlare di religione, era un fervente cattolico che da grande voleva fare il prete. D’istinto lo contestavo con povertà d’argomenti, da grande poi il prete l’ha fatto davvero. Salvatore invece non si masturbava in pubblico e non raccattava gomme da masticare, era introverso, parlava poco. Mi era dispiaciuto quando l’avevano bocciato agli esami di quinta. La commissione, esasperata dai suoi silenzi, aveva posto la domanda finale e la risposta di Salvatore avrebbe determinato la sentenza definitiva, una sorta di processo sommario. Sulla cartina geografica avevano indicato Roma e poi chiesto: “Salvatore metti il dito su Roma”. Lui aveva eseguito. “Adesso rispondi, Roma si trova al nord, al centro, o al sud dell’Italia?” Silenzio, poi Salvatore aveva emesso dei suoni, dei mugugni in lenta successione: “Cent… Nooor,” poi chiaro: “Sud!”. Bocciato. Salvatore detto Turi, il figlio del muratore siciliano bocciato. Perché bocciarlo? Forse aveva ragione lui, antropologicamente e culturalmente Roma era Sud,
tuttavia i tre anni con il maestro Panìco mi avevano fatto apprezzare la scuola, alcune materie mi appassionavano: italiano, geografia e anche scienze naturali. Il profitto era buono, studiavo poco ma intervenivo, partecipavo, mentre m’intrattenevo nel percuotere il più bravo della classe, quello al primo banco, Giuseppe il figlio del tappezziere. Mi piaceva molestarlo. Un mezzogiorno il padre della vittima, informato dal figliuolo delle percosse quotidiane, mi aveva aspettato fuori dalla scuola. I compagni mi avevano avvisato della sua presenza, ma invece di scappare gli ero andato incontro: sganassone a freddo che mi aveva girato la faccia. Ero rimasto lì a fissare quell’uomo dalle mani grandi. “Non guardarmi con quella faccia lì” fu il suo commento. Non avevo paura di lui, mi sentivo sorretto da una forza che saliva dallo stomaco, potente, onnipotente, immortale.