«Si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso di rapporti di cui egli è centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale è e non può non essere altri che il politico, cioè l’uomo attivo che modifica l’ambiente, inteso per ambiente l’insieme dei rapporti in cui ogni singolo entra a far parte» (Gramsci, Quaderni del carcere).
Non ho erudizione per affrontare nel merito gli studiosi che si sono confrontati col pensiero di Marx riguardo la filosofia come prassi, distaccandosi o aderendovi, in Italia nel primo gruppo Croce e Gentile, nel secondo Labriola e Gramsci,
però un pensiero ce l’ho preciso: non mi piace definire “filosofo reale” chi partecipa all’assemblea di condominio e io acchiappanuvole quando ieri nel piantare la salvia ascoltavo il vento.
Vento evocante un recente intervento di Augusto Cavadi che, attingendo un po’ da qui, contestava l’antropocentrismo di Fichte, Hegel e Marx, utilizzando la metafora di decine di migliaia di volumi di migliaia di pagine ciascheduno che rappresentano la storia naturale del mondo nelle quali l’uomo, anche se fiorire unico e sorprendente, è citato nelle due righe finali dell’ultimo volume.