Nella messa in scena teatrale, come in quella cinematografica, incontriamo discrepanti modalità di recitazione:
dal tecnico impostarsi dell’attore un po’ contiguo all’impostura;
all’atteggiamento di corpo, espressione di volto, modulazione di voce, invece prodotti e sostenuti dal pensiero dell’attore. Pensiero che plasma diretto psiche e soma, così un reale pensiero mesto produce una autentica faccia mesta e un reale pensiero gaio produce nell’attore una autentica faccia gaia, con tutti i viraggi espressivi, sfumature intermedie, contaminazioni, cortocircuiti, procurati dal cambiamento di pensiero sul corpo.
Su tale retti-tudine pensiero-corpo due considerazioni:
1 L’osservazione dell’accadimento emancipa da intellettualistici labirinti correlati alla “entificazione” del pensiero: tutto si semplifica quando il pensiero da presupposta entità autonoma viene indagato come il pensare qualcosa di un soggetto concreto.
2 Nel dilatare -dalla recitazione alla vita quotidiana- questo reggersi della persona sul pensiero, possiamo empiricamente osservare che, tutto sommato, l’Io è, in presa diretta, ciò che pensa in quel momento il soggetto.
Se così è forse utile rivalutare, elaborandolo, il “peccato di pensiero” contemplato nella visione cristiana.