Era uno strano. Non gli sarebbe piaciuto morire pregando una mamma celeste, non riusciva a immaginare modo più stupido per congedarsi dal mondo. Nell’epilogo avrebbe preferito almanaccare di essere lui Dio stesso, in subordine gli sarebbe andato bene anche addormentarsi con gli alcaloidi dell’oppio in un mix neoplatonico, mistico e induista insieme: Plotino, Maestro Eckhart e Veda, emulsionati nel suo apparato psicosomatico dalla morfina.
E’ che, in quel momento, non avvertiva sostanziale differenza nel morire a cinquant’anni, sessanta, novanta o subito. Morire, sicuramente morire, così rilevante farlo un po’ dopo o un po’ prima?
Aveva già dato, meritava congedo, eppure se gli fosse accaduto di vivere a lungo avrebbe ancora accettato di riparare la serratura della porta di casa, di lavare l’automobile, tagliare il prato, fare la spesa, seguire la prevedibile cronaca politica stravaccato sul divano, ma per poterlo fare non stava a prostrarsi ai dogmi medicali d’occidente, colonscopie per diagnosticargli un cancro in fase iniziale nelle budella e TAC ai polmoni per i fumatori come lui.
Tutto sommato avvertiva senso e dignità nel vivere ancora per compiere il suo incompiuto percorso di pensiero, eppure proprio quel percorso lo invitava a guardare e abbracciare sorella morte. Il pensiero andava in quella direzione, in quei territori, lì lo conduceva e lo invitava a giocare la partita.