Don Giussani, certo della condizione creaturale dell’uomo, sosteneva che la dipendenza ontologica dal “Mistero” che ci ha fatti fosse l'unica possibilità di emancipazione dal nulla che ci incombe addosso.
“Ontologico”, Giussani, non lo utilizzava filosoficamente ma empiricamente, come aggettivo o avverbio della parola “essere”, come “ciò che è in realtà”. Anche Mistero - rigorosamente con la M maiuscola - non lo diceva per l’occulto che significa, ma come la forma specifica che il Creatore avrebbe scelto per incontrare gli uomini: la Chiesa cattolica, posto in cui il Dio misterioso si farebbe presente.
Da qui sentenziava che più l’uomo si sottrae a questo disegno divino misterioso e carnale insieme, tanto più scivola verso il nulla. Il singolo uomo, elemento insignificante, nulla assoluto, per poter essere dovrebbe, dunque, percepirsi come cellula appartenente alla corporazione ecclesiastica: un'anima collettiva, di gruppo, come le api e le formiche, anzi di più: dipendenza ontologica totale come i buchi nel formaggio, che grandi o piccoli, superficiali o profondi, devono comunque il fondamento del loro essere nell’appartenere all’oggetto che li ospita, fuori si dissolvono.
Siccome il Mistero si è incarnato, è diventato corpo, corporazione, la dipendenza ontologica giussaniana che ci consentirebbe di “essere”, si attuerebbe appartenendo a quella comunione di uomini che, in quanto prescelti dal destino, rappresenterebbero il Mistero che ha fatto tutte le cose, nella fattispecie le autorità della istituzione ecclesiastica; onnipotenti che guidano dipendenti.
La psichiatria più che la teologia chiarisce la faccenda. Lo scozzese R. D. Laing, psichiatra e filosofo, nella sua opera più importante “L’io diviso” dedica un intero capitolo, il terzo, all’insicurezza ontologica e alle conseguenti dipendenze esistenziali. Descrive con lucidità la visione ontologica di Giussani - che mai aveva conosciuto - in modo antitetico: diagnostica la dipendenza ontologica psicotica e giudica, invece, l’uomo sano quello che libero da appartenenze e dipendenze è capace di pensiero autonomo.
Laing precisa: “La capacità di sentirsi autonomo significa che si è riusciti a rendersi conto di sé come persona separata da tutti gli altri. Per quanto profondamente io sia legato, nella gioia o nel dolore, a un’altra persona, questa non è me, né io sono lei.”
Evidente? Elementare? Ovvio? Non per tutti.
4 commenti
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Domenica, 13 Novembre 2011 13:46
inviato da Delia Cazeaux
Ovviamente l'individuazione è alla base della percezione di Sé (veramente maiuscola) e pertanto della consapevolezza della propria presenza nel mondo. Ma ciò significa diventare esseri pensanti e capaci di esercitare il libero arbitrio. Questo non è molto gettonato negli ambienti di don (minuscola apposta) Giussani. Parla di cellule di un gruppo, di una corporazione ecclesiastica, ma l'immagine dei buchi nel formaggio rende meglio il concetto ...
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Lunedì, 27 Febbraio 2012 10:13
inviato da Wredestein
Il fatto è che l'autonomia sussiste in due piani: vi è l'autonomia apparente del ragazzo che va a vivere da solo e vi è quella reale di Diogene, di Socrate o del santo. Il discrimine tra l'un tipo e l'altro è che una è limitata nel tempo e l'altra no. Io credo che tra l'autonomia di Giussani che è basata sull'anima e quella di Laing che è basata sulle cellule del cervello quella candidata ad essere reale non può che essere la prima.