Lontano da casa senza legami di sentimento vago in solitudine. E’ notte, come una telecamera registro ciò che incontro nella città: discoteche, giovani ubriachi, divertimento. Sono attratto da una strada laterale male illuminata, a metà via una palazzina di tre piani, all’ultimo una luce accesa. Dietro al vetro smerigliato s’intravede una flebo, ma non si vede il corpo che la riceve. Sull’ingresso dell’edificio c’è scritto: “Santa Maria clinica geriatrica”. Immagino il paziente, lo immagino così forte che lo vedo. Ha novantadue anni, è magro e sdentato, la pelle è color giallo cadavere e ha l’odore del pollo incellofanato del supermercato. La luce è accesa perché il paziente in giornata si è aggravato e il medico ha detto all’infermiera del turno di notte di dargli, di tanto in tanto, un’occhiata. Lei guarda un telefilm e quando arriva la pubblicità va a vedere se il vecchio è ancora vivo o è morto.Musiche sovrapposte arrivano dai locali mentre la condizione umana è tutta lì, al terzo piano.