In adolescenza quello che a scuola chiamavano cultura era per me una entità rarefatta, inutile, nemica. Detestavo i professori, li avvertivo estranei. In prima media una preside di ferro dirigeva la scuola. Nella mia classe i bidelli avevano trovato un paio di banchi rotti, la preside, era venuta ad interrogarci: “Chi è stato? Chi sa e non parla farà andare di mezzo tutta la classe, metterò una nota collettiva!”Tutti zitti. Ho sentito una voce uscire dallo stomaco che gli ha risposto: “Non so chi sia stato, ma anche se lo sapessi non lo direi”. Gelo, pausa di tre secondi, latrato della preside a me rivolto: “Come ti permetti!” Anche se timido mi sentivo a mio agio, rilassato e mentre fissavo negli occhi quella donnina ossessa ho sentito una voce che ha detto: “Vaffanculo”, era la mia. Immediata convocazione scritta ai genitori per comunicargli la sospensione del figlio. Era andato mio padre nell’ufficio della preside, mi aveva difeso alla “democristiana” anche se votava partito liberale: “Sa il ragazzo era imbarazzato davanti alla classe e per darsi un contegno è andato sopra le righe per timidezza…” Così la sospensione era stata revocata ed io avevo un po’ imparato che il sollevarsi procura sanzione e il prostrarsi la condona.