Camminando in una fitta lecceta mi ero imbattuto in una radura perfettamente circolare, in quell’aprirsi mi ero sentito sparire e più non c’ero più diventavo eterno.
Vi sono luoghi particolari dove è evidente che il massimo dell’immanenza coincide con il massimo della trascendenza. Maria Zambrano aveva visto, con Sokurov[1], uno di quei luoghi nell’inatteso e improvviso aprirsi di una radura. Un nondove fra l’ombra e la luce, fra conscio esterno e inconscio interno, e forse pure fra fisica classica e quantistica, dove si incontrano visibile e invisibile.
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1 In “Elegia di un viaggio” mediometraggio di Sokurov del 2001, il protagonista, in un viaggio onirico, trovandosi all’improvviso in una gelida radura dice:
“Mi ritrovo in una radura. Per chi tanta bellezza? Nessuno per vederla. Dunque era ancora più bella. Solitudine perfetta. Cosa sono questi occhi?”.
Il film è disponibile sottotitolato in italiano qui: Elegiya dorogi.