Ho lasciato perdere filosofia e politica e sono andato a zappare, nel farlo mi sono dimenticato di me e il mondo si è pacificato. Verosimile che questa naturale percezione d’essere non mediata dall’io era quella che vivevamo i nostri antenati ancestrali, ma a un certo punto qualcuno piazzò una pietra nella radura per onorare il cadavere del compagno, un altro ficcò un palo in cima alla collina e iniziò a adorarlo inventando il soprannaturale. Ad un certo punto abbiamo iniziato a riflettere, astrarre, giudicare, narrare, imbastire paradossi, interpretare all’istante e di continuo ciò che i sensi percepiscono.
Una sorta di innaturale sdoppiamento interno: da una parte la pura percezione d’essere nostra e del mondo, dall’altra la sua elaborazione fino al punto che l’artefatto dell’elaborazione ha fagocitato l’evidenza di essere: “Penso dunque sono”. Oggi sovente mutato in “faccio dunque sono”, una sorta di ontologia del movimento produttivo continuo: se faccio "sono" se mi fermo sparisco, come se l’evidenza di essere non abbia alcun senso e valore.
Forse non siamo più capaci di percepire che innanzitutto “siamo”, ma potrebbe anche essere che sgattaioliamo dalla primaria percezione di essere dandoci di continuo da fare, perché potenza che non riusciamo a reggere e contenere.