La vegliarda se ne stava in compagnia e ripeteva: “Ho ancora tante cose da fare la morte può aspettare”, in quel continuo darsi da fare è schiattata senza manco accorgersi. Non so se la vegliarda in quel occidentale darsi da fare tentava una sintesi fra reale e ideale, fra cosa in sé e fenomeno, fra essenza e apparenza, fra “mondo come volontà” e “mondo come rappresentazione”, oppure faceva semplicemente qualcosa, qualsiasi cosa, invece di non fare nulla. In ogni caso è un buon modo di vivere e di morire muoversi in compagnia invece che starsene fermi e soli.
La tradizione indiana divide l’esistenza individuale in quattro tempi -per saperli un giro su Wikipedia: Ashrama- il secondo tempo del sistema invita a godersela facendo tante cose, mentre nell’ultimo tempo viene indicato -a differenza della vegliarda nostrana- di vivere in solitudine così da depotenziare l’Io (che sussiste grazie all’altro), disinteressati e distaccati dalla vita materiale, attendendo il proprio tempo senza aspirare alla morte e alla vita. Anche questo è un buon modo, a ognuno il suo.