Può anche darsi che non ci sia un Io ma solo moti interconnessi di “fasci di percezioni”, e che la nozione di persona sia nient’altro che una “inferenza extraempirica ed extralogica” come afferma Hume, ma visto che tale affastellamento produce nel suo svolgersi sapere consapevole, ammirazione, disgusto, dolore e piacere, da una qualche parte ci potrebbe anche essere un polo percipiente, uno sguardo consapevole, una “forme maitresse” (Montaigne), un qualcuno che lo sperimenta.
Non sarebbe male che morto il corpo permanesse un residuo di questa “forma sovrana” che chiamiamo io, così da fonderci nella natura consapevoli di farlo. Vino nuovo in otri nuovi potrebbe andarci bene anche di essere qualcun altro o qualcosa d’altro, invece che ancora noi, l’importante è che ci sia un qualcosa capace di percezione consapevole, invece di niente e di nessuno.
Io: entità inesistente o forme maitresse con una sua sussistenza ontologica persistente? Tutto sommato la prospettiva di Hume non è poi così lontana da quella di Montaigne: se già fin da subito seppure sprovvisti di io, accade questo stranissimo sperimentare e sapere acefalo - manco Superman ! - possiamo concludere che è fenomeno davvero tenace, resiliente in massimo grado in qualsiasi situazione e regno.