Processiamo a raffica, come fanno i computer, le caotiche mescolanze di intersecate circostanze casuali che, imprevedibili e indeterminate, incontriamo per la via. Le convogliamo in una tramoggia che le frulla e ottenuta la brodaglia un algoritmo, da noi programmato, le riassembla costituendole secondo un nostro ordine.
Ma forse quel caos andava bene proprio così come ci era arrivato. Forse nel frullarlo per ricostituirlo conformandolo, arbitrariamente, a nostre categorie standard di ordine e senso abbiamo perso qualcosa. Forse quella che noi chiamiamo casualità è la precisa espressione di una superiorità a noi nascosta.