Il bel libretto “Libertà nel mondo” di Hans Küng illustra vita e opere di Tommaso Moro (1478-1535), santo al pari del celibe e obbediente “poverello d'Assisi" anche se con moglie, figli, possedimenti e grandissimo potere.
L’Autore non intende riproporre un’agiografia, la descrizione della vita del santo è occasione per dipanare la complessa dinamica del rapporto del cristiano col mondo secolare[1]. Provo a dire in due righe il libro a modo mio: ingenuo e fuorviante ridurre la problematica del cristiano nel mondo ad un aut aut fra cenci di patarini medioevali o casse di champagne del formigonismo di avantieri. Nel solco di san Paolo è invece necessario che il cristiano viva con completa dedizione il suo tempo nel mondo (responsabilità) e insieme- e qui sta il punto- con totale distacco. Così ha fatto Tommaso Moro dedito e responsabile alle faccende di corte e insieme tanto distaccato da preferire il patibolo, quando tali faccende sono entrate in conflitto con la sua coscienza. Le implicazioni logiche arrancano: il cristiano sa che passa la scena di questo mondo, di questo provvisorio tempo, ma nel contempo è consapevole che qui e adesso si gioca la partita.
Non so cosa vincano i cristiani dopo morti, ma so che questa singolare dinamica di dedizione-distacco, ovvero libertà, riguarda tutti. Si chiama vocazione ma Dio non sempre c’entra, assomiglia al mandala di sabbia colorata dei monaci buddisti costruito con estrema cura per essere smantellato. E’ quella strada che se percorsa ci soddisfa, attraversa il mondo ma non è di questo mondo. Se la si perde basta chiedere indicazioni al bambino che eravamo.
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1 Sappiamo che la cultura occidentale è caratterizzata, e in gran parte strutturata, da una miscela di sacro e profano, una mescola di paganesimo, illuminismo, tecnica, tradizione giudaico-cristiana, ecc. ecc. . Il libro di Hans Küng su Moro mi ha riportato alla mente l’analisi del cardinale e teologo francese Yves Marie-Joseph Congar (1904 –1995), espressa nel terzo capitolo del saggio teologico ecclesiologico «Per una teologia del laicato» scritto nel 1956, edito in Italia da Morcelliana. Capitolo che provo a condensare, Congar, fedele al credo cattolico, analizza il piano di Dio dettato nella rivelazione, dal «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» all’ultimo capitolo dell’Apocalisse, dove Dio «assumendo lui stesso la carne della nostra umanità» vuole costruire il suo tempio di comunione attraverso Gesù Cristo «capo della Chiesa, ma anche di tutta la creazione»; Regno di Dio universale nel quale Congar dettaglia differenti e complessi aspetti, tra questi quello escatologico dell’ultimo giorno e quello «dinamico o progressivo» del tempo della Chiesa, tempo intermedio del già, dove «Gesù stesso è, in un certo senso, il Regno di Dio» e il non ancora della Parusia, dove Cristo alla fine del piano salvifico ritornerà sulla terra.
Dunque due tappe e in mezzo un tempo intermedio. A che scopo tale tempo? Iddio onnipotente senza indugiare avrebbe potuto terminare il suo piano con l’Ascensione concludendo con la Pentecoste. Congar vede in tale indugio uno scopo preciso: Dio o il Cristo o la Chiesa non sono i soli artefici di tale piano, per giungere a meta è necessario il libero agire degli uomini nella storia perché senza tale cooperazione il Regno di Dio rimarrebbe incompiuto. In tale interpretazione «La regalità di Cristo resta, di diritto, universale» mentre la Chiesa sarebbe un regno spirituale della fede distinto dal «mondo naturale degli uomini e della storia», entrambi differenti coprotagonisti della realizzazione del Regno, «Rendete a Cesare quel che è di Cesare…».
Nel piano unitario di Dio la Chiesa e il mondo sono entrambi finalisticamente ordinati al Regno di Dio, «ma per vie e titoli differenti», così «la regalità universale di Cristo non corrisponde a quella di una regalità ugualmente universale della Chiesa». Ne consegue per il cristiano che il profano sviluppo umano storico non è un processo antagonista e nemico, o nella più misericordiosa interpretazione mero accadimento subalterno da tollerare, ma in quanto forza indispensabile all’accadimento del Regno evento da valorizzare e col quale allearsi. Sacro non contrapposto al profano, quindi non «Resistenza del Mondo ma Resistenza nel Mondo». Tralasciando il possibile effluvio di concezioni hegeliane, riguardo un supremo Principio regolatore della storia avvertibile in Congar, quello che mi sembra puntuale è l’intelligente sintesi, dal punto di vista cattolico, della complessa realtà in una concezione aperta che ricapitola e unifica universalmente.