Dall’allungamento del naso di Pinocchio a La voce del silenzio di Ranieri, da The sound of silence di Simon & Garfunkel alle osservazioni di Freud[1] fino al codice penale[2] e alle omertà mafiose, sappiamo che il non detto non è evento neutro ma, nel bene (consapevoli che il nostro sapere potrebbe essere parziale o errato, talora meglio tacere) e nel male (dissimulazione), un atto semiotico efficiente quanto il dire, capace di determinare uno stato di cose specifico.
Il non detto tace eppure esprime, comunica e fa. Percepibile, oltre che mediante il linguaggio corporeo del dissimulatore, forse anche grazie a una sorta di percezione sensoriale - perlopiù spiacevole - avvertibile in sua presenza, come i cani e i gatti sentono il terremoto prima che arrivi. Niente di paranormale ma possibile reminiscenza ancestrale, quando nella preistoria la nostra specie percepiva, pur sprovvista di linguaggio articolato, potenziali pericoli. Sensibilità oggi perduta, ma non completamente; permane qualche residuo, quel giusto per individuare il ballista.
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1 «Chi tace con le labbra chiacchiera con la punta delle dita, si tradisce attraverso tutti i pori.» (S. Freud, Frammento di un'analisi di isteria, in Casi clinici, Einaudi 1952, p. 95).
2 che giudica reato oltre all’affermazione del falso o la negazione del vero, anche il tacere, in tutto o in parte, ciò che si sa intorno ai fatti (art. 372 reato di falsa testimonianza).