Il giudizio degli altri è un testo estrapolato dagli Aforismi per una vita saggia contenuti nei Parerga di Schopenhauer. Le pagine affrontano con impianto aristotelico tre categorie della persona: ciò che ha; ciò che è; ciò che rappresenta, ovvero ciò che siamo nella testa degli altri. Schopenhauer vede nell’eccessivo preoccuparsi dell’opinione altrui un severo difetto dell’essere umano, anzi il difetto fondamentale, imperversante assurdità che genera un inutile e controproducente, quanto abnorme, dispendio d’energia.
L’Autore valuta questo suo lavoro opera “minore” in effetti Schopenhauer, di solito puntuale nello spaccare il capello in quattro, questa volta appare impreciso nella sua disamina, perlomeno per tre motivi:
valuta pregiudizialmente l’Io personale superiore all’Altro, tesi tutta da dimostrare;
oltre alla mera vanità e alla debolezza della natura umana omette di individuare e analizzare altre possibili forze che ci spingono alla ricerca di consenso dai nostri simili;
sembra sfuggirgli il possibile scostamento tra ciò che realmente siamo rispetto all’immagine di noi albergante nella nostra stessa testa (discordanza che trascura) ben prima che nella testa degli altri (differenza sulla quale si attarda). Buchi, mi sembra, non piccoli tant’è che possono contenere intere discipline. Insomma opera qualitativamente inferiore rispetto a Il Mondo come Volontà e rappresentazione nella quale sosteneva: «C'è un unico errore innato, ed è quello di credere che noi esistiamo per essere felici» rispetto al quale l’Autore si ammaina da sé medesimo offrendo ricette per essere felici - eudemonismo a tratti spicciolo -, o perlomeno sereni. Per la cronaca Il Mondo come Volontà e rappresentazione, oggi pilastro della filosofia, ai tempi della prima stampa si rivelò un fallimento editoriale mentre gli scritti “minori” Parerga e paralipomena contenenti Il giudizio degli altri, furono un successo editoriale.
Il giudizio degli altri oggi appare opera in alcuni passaggi obsoleta nel suo dettagliare ottocentesche fame e glorie onorate per mezzo di duelli, eppure obsolescenza interessante in quanto ci offre la percezione plastica di quanto le umane e sociali dinamiche di essere e apparire siano mutate negli ultimi centocinquanta anni con l’avvento dei mass media. Capovolgimento di galassie con produzione di un inedito "velo di Maya", non sarebbe male se esistesse una sorta di purgatorio dove Warhol e Pasolini aggiornino Schopenhauer della strana piega che ha preso, in sua assenza, la vicenda.