Nella giurisprudenza la crudeltà di un delitto è di norma valutata aggravante invece di movente, eppure ricordo un serial killer di prostitute che riferiva d’averlo fatto perché gli piaceva vederle morire. Tutto qui, nient’altro[1].
Anche questo è l’uomo, dunque mi riguarda[2]. Forze ancestrali che ci appartengono da individuare invece di rimuovere non di rado sublimandole in altezze indicibili.
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1 Ma altra cosa è il pensiero, altra cosa l'atto, ed altra l'immagine dell'atto. La ruota della causalità non gira tra di esse. Un'immagine rese pallido quell'uomo. Egli era degno della sua azione allorché la commise: ma non ne sopportò l'immagine allorché l'ebbe compiuta. Rivide sempre sé stesso quale autore d'un fatto. Io chiamo questo follia; l'eccezione divenne natura.
Una linea paralizza la gallina: il colpo da lui eseguito paralizzò la sua povera ragione – io chiamo ciò follie dopo l'atto. Udite, o giudici! Vi è ancora un'altra follia: è quella Prima dell'atto. Ah, voi non penetraste a fondo in quell'anima!
Così parlò il rosso giudice: «Perché questo delinquente ha ucciso? Voleva rubare». Ma io vi dico: la sua anima era assetata di sangue, non di rapine: egli aveva sete della voluttà del coltello. Ma la sua ragione non comprendeva una tale follia e lo persuase. «Che importa il sangue? disse; non vuoi tu almeno, in questo momento, rubare? O fare vendetta?».
Ed egli ascoltò la sua povera ragione: le sue parole pesavano su di lui come piombo – e allora rubò mentre uccideva. Egli non voleva vergognarsi della sua follia. (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Del pallido delinquente.)
2 Homo sum, humani nihil a me alienum puto «sono un essere umano, non ritengo a me estraneo nulla di umano». (Publio Terenzio Afro, Heautontimorùmenos.)