La siepe di lecci, lauri e filliree, che ho piantato dieci anni fa vegeta dritta ma quando a lato incontra un ulivo tende a sbordare, accelera il suo vegetare e si allunga per raggiungerlo e l’ulivo fa altrettanto. Si sa le piante comunicano tra loro, s’intendono con segnali veicolati dalla produzione di enzimi specifici e addirittura attraverso vibrazioni sonore e i cespugli mediterranei - anche l’ulivo è un cespuglio - se contigui tendono a compenetrarsi così che il sole non raggiunga il suolo danneggiando le radici. Come non chiedersi il perché della costante direzione di tale spinta? Perché avulsa da leggi di probabilità la forza naturale tende, quasi sempre, a perpetuare e sviluppare invece di annichilire? Se il processo fosse meramente casuale, invece che causale e teleologico, agirebbe a capocchia talvolta sviluppando, talvolta essiccando. Forse Darwin e Tommaso[1] anche se parlano differente sono più amici di quanto appare.
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1 Quinta via: "Ex fine": « [...] alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine [...]. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo ed intelligente, come la freccia dell'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio. » (Tommaso d'Aquino. Summa Theologiae, I, questione 2, articolo 3).