“Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela».” Forse meglio, visto il risultato dell’ulivo in immagine, che Iddio fosse rimasto zitto e il potatore fermo. Ieri nel potare un lentisco faticavo nel trovare la giusta misura al mio recidere: nel lasciarlo com'era permaneva catatonico, nell'intevenire rischiavo di castrarlo, così ruminavo intorno al potare.
Consideravo che, tutto sommato, il potare - quando non codificato da omologate tecniche culturali, ma atto libero (arrangiati, fai tu) -, è un po’ paradigma del rapporto cruciale Io/Natura.
Perché potare un albero? Perché lasciarlo com’è? Nel caso si opti per procedere, con quali criteri operare, per favorire la produzione di eventuali frutti? Per stimolare lo sviluppo ordinato dell’albero? Quale ordine? Per contenerlo dimensionandolo? Quale parametro dimensionale? Per plasmarlo esteticamente? Quale estetica?
Potatura test di Rorschach filosofico che svela la collocazione di sé in un ordine generale dell'Universo. Non posso escludere che se dovesse esistere un senso all'esserci, del quale la potatura è metafora, sia quello di trovare sintesi tra l'ordine personale e quello naturale.