Al tramonto ho piantato l’Agnocasto nel mezz’ettaro di terra pugliese a dieci chilometri dalla costa adriatica, luogo che considero laboratorio filosofico più che botanico. L’ho congiunto ad un migliaio d’altre piante di differenti specie che ho piantato negli ultimi anni. Varietà della macchia mediterranea perlopiù nostrane solo talvolta strane: qualcuna del Sud Africa e delle coste del Cile, altre dell’Australia occidentale, zone con clima simile a quello mediterraneo ma dove vegetano altre specie.
Esperimento planetario di biodiversità che non serve proprio a niente se non ad implementare una discreta armonia estetica, a patto che le piante siano ben curate e governate così che non degradino nel catatonico. Eppure in questo inutile piantare ho sperimentato venti minuti di completa soddisfazione, forse per la consapevolezza di compiere gesto identico a quello d’antichi monaci - l’Agnocasto è pianta tradizionalmente monastica - , forse per il puntuale tramonto indipendente dal mio pensare e fare.
C’è una realizzazione prodotta da individuale abnegazione, da duro e coraggioso remare, dall’affrontare salite, ma c’è anche soddisfazione che non necessita sforzo e accade naturale e spontanea a patto che ci rechiamo consapevoli e puntuali nel posto giusto. La vocazione al personale e comunitario compimento indica e incita a percorrerle entrambe.