Mia cognata infermiera all’ospedale di Taranto teorizza che oltre i settanta anni è meglio morire. Augura a lei, e a tutti quanti, di cessare senza angoscia e senza dolore preferibilmente nel sonno profondo, ma non concede rinvii. C’è da dire che mia cognata non ha manco cinquanta anni e non possiamo escludere che arrivata a settanta riveda la sua teoria alzando la soglia della dipartita. Il fatto è che lei ogni giorno incontra ricoverati ultrasettantenni sempre sofferenti e talvolta angosciati. Mica tutti i settantenni del mondo stanno così, ma i suoi sì e proprio tutti, così vede da lì il mondo; tutto sommato un punto di vista privilegiato: un reparto ospedaliero è una minima parte di mondo, eppure giudizio universale, basta farci entrare qualsiasi pensiero, concezione, verdetto, affermazione e osservare se si paralizza e collassa, oppure “tiene” in esattezza, veridicità, legittimità, anche lì.
E poi mia cognata ha la scienza e anche la statistica dalla sua parte: il primo fattore di rischio per la salute non è l’alimentazione e neppure il fumo di tabacco, ma l’età. Più avanzi negli anni più rischi di ammalarti. La statistica sentenzia, dunque, che l’esposizione alla vita fa male e l’esposizione prolungata malissimo. Mai cercare su Facebook il compagno di scuola che non vedi da decenni, ti potrebbe apparire una faccia orribile… Ma cosa gli avranno mai fatto? Ma cosa gli è successo? Ha vissuto. Strani i reparti geriatrici, più curano e più allungano la vita che è il più serio fattore di rischio per la salute. A parte la perentoria scadenza fissata ad anni settanta la serena rassegnazioni di mia cognata non è infondata.
Forse bluffo, però talora mi accade di non avvertire sostanziale differenza nel morire a sessanta anni, novanta o subito, talvolta invece l'ipotesi dell'epilogo imminente mi scoccia assai - scrivo scoccia ma si legge angoscia - e se campassi in buona salute non mi dispiacerebbe rimanere vivo ancora per un po’, anzi per un bel po’, per compiere il mio percorso di uomo, di pensiero, di ricerca, riguardo il quale - chissà perché? - ogni volta che si raggiunge meta se ne vede in distanza un’altra, però non è escluso che tale lavoro possa proseguirlo, in qualche modo, anche dopo morto. Al riguardo non ho prove sicure ma neppure smentite certe che mi precludano tale possibilità. Così a parte tale percorso, oltre agli amici e ai prossimi cari dai quali prendo e do con profitto e piacere, per tutto il resto mi congederei volentieri: ho già dato e non mi entusiasma rimanere ancora solo per aggiustare la serratura della porta se rotta, lavare l’automobile se sporca, tagliare il prato se alto, fare la spesa e seguire la prevedibile cronaca politica. Per campare faccio l’erborista e in trentacinque anni di professione ho preparato una ventina di tisane ogni giorno, così duecentomila clienti hanno urinato e defecato un po’ meglio grazie al mio impegno e a qualcuno si sono anche sgonfiate le vene varicose, opera che può agilmente continuare grazie a chicchessia se fornito di un minimo di passione. Tutto sommato pensando ai cari estinti considero che si stanno evitando numerose incombenze fastidiose e anche dolorose. Se mio padre fosse morto dieci anni dopo? Morire, sicuramente morire; così rilevante farlo un po’ dopo o un po’ prima? Così opto per una via di mezzo e continuo - tendiamo a dimenticarlo ma continuare è una scelta in quanto esiste il suicidio, problematica filosofica cruciale - evitando, però, di sottopormi ai dogmi medicali d’Occidente: colonscopie per diagnosticare un cancro in fase iniziale dentro le budella e TAC ai polmoni per i fumatori incalliti come me. Se la diagnosi precoce mi renderebbe immortale, come il dogma medicale sembra suggerire, l’avrei anche considerata. Se mi ammalerò mi curerò, ma intanto continuo spontaneo.
Ma a che serve la vita? Non serve a niente, mica è una seggiola o una automobile che servono a farti sedere e portarti al supermercato. Non so a cosa serve ed è sorta spontanea non so da dove, non conosco il perché e non so come. Francamente non mi ricordo di preciso neppure quando è iniziata, forse indizio che manco finisce.
6 commenti
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Martedì, 15 Settembre 2015 14:36
inviato da
Augusto Cavadi
Sempre più saggio il mio amico Bruno....!
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Martedì, 15 Settembre 2015 17:57
inviato da Pietro
"l’esposizione alla vita fa male... è il più serio fattore di rischio per la salute"...Ma è tutta la riflessione di Bruno che è fortissima
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Lunedì, 21 Settembre 2015 20:06
inviato da
maria
Riflessioni apprezzate e condivise.
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Venerdì, 15 Settembre 2017 06:18
inviato da Pietro Spalla
Effettivamente la prima causa della morte è la vita, non ci avevo pensato nonostante sperimenti nel mio lavoro che la prima causa del divorzio è il matrimonio. Però dopo il divorzio c'è una prosecuzione (assegni di mantenimento, assegnazione della casa coniugale...) ed anche la reincarnazione in un eventuale successivo matrimonio, invece dopo la morte non so, non è il mio lavoro...