Potrebbe risultare bislacco riferire mischiati i pensieri che mi hanno stimolato due libri differenti, ma se contigui nel merito, scritti dal medesimo autore e letti in successione, si può anche fare; autore che in entrambi i libri affronta e teoreticamente e testimoniando personalmente e professionalmente sul campo del quotidiano vivere, quanto «la vita affettiva e sentimentale parla di noi e di come siamo fatti con una precisione sconosciuta», enucleando come tale personale stile di vita si è formato, costituito e istituito in noi.
Così, senza soluzione di continuità commento, in libertà, la lettura de
«I legami che ci aiutano a vivere; l’energia che cambia la nostra vita e il mondo» (Universale economica Feltrinelli) e
«Bambini; perché siamo come siamo» (La Scuola),
dello psicoterapeuta e analista adleriano Domenico Barrilà che con un diretto approccio clinico e esistenziale, nonché in sottotesto sociale, espone e spiega il costituirsi e gli sviluppi della personalità analizzandone snodi e nodi, impantanamenti e possibili redenzioni.
Si potrebbe affermare che i due libri trattino di “economia”: la persona, e a maggior ragione il bambino bisognoso per condizione, persegue una logica che punta ad un immediato profitto. Vuole subito mettere qualcosa di buono sotto i denti e quando la otterrà tenderà a ripetere la mossa che gli ha procurato frutto. Sonderà l’ambiente valorizzando e replicando quei gesti che, sul momento, produrranno risposte piacevolmente utili e inibendo iniziative che non daranno risposte, o ne procureranno di dolorose o infruttuose. Per trama logica implementerà così, via via, una direzione, una strategia, uno stile di vita. Nel bambino lo stato di necessità - senza l’intervento altrui non potrebbe letteralmente vivere - ed il peculiare universo di “prima volta” nel quale è immerso produrranno un processo di incistamento di queste primarie esperienze. Esperienze lì per lì valutate nell’insieme convenienti, senza vagliare quelle davvero utili perché attivamente empatiche e costruttive, da dissimulazioni e simulazioni, atteggiamenti rinunciatari o aggressivi al momento apparentemente efficaci, ma a medio e lungo termine severamente controproducenti. Così un bambino arriva in prima elementare già “formato” nel bene e nel male. Potrà evidentemente ancora operare per modificarsi così da raggiungere mete e ottenere soddisfazioni, ma solo a partire da quella precisa struttura.
Dinamica complessa il formarsi della personalità e il correlato stile di vita, da una parte determinato da casualità: DNA (incluso lo stato di salute o di malattia organica) e ambiente; al riguardo annoto che se la compiuta realizzazione individuale dipendesse unicamente dalla personale iniziativa e responsabilità, dati statistici riscontrerebbero pari indice medio di soddisfazione in soggetti nati in Lussemburgo con corporatura statuaria in possesso di paterna eredità milionaria e storpi nati in Liberia da genitori denutriti. Siccome i conti non tornano avvantaggiati e svantaggiati sentenziano che non possiamo trascurare la forza dirompente e gloriosa della casualità. Nel contempo agisce la forza, un po’ misteriosa eppure presente nel bambino, specifica del soggetto: causalità dove a parità di condizioni c’è chi resiliente imprende realizzandosi più di altri.
L’educatore davanti a tale articolato e variegatissimo fluttuare di fattori svolge il compito di individuare primari incistamenti dannosi, apparentemente ragionevoli e utili nel circoscritto momento del loro formarsi, ma poi veri e propri equivoci, strabismi sempre più inadeguati e controproducenti. Come diagnosticarli? Urge un’interminabile analisi del profondo? Barrilà nel solco di Alfred Adler offre indicazioni precise, semplici, rapide: basta osservare il bambino (e l’adulto) in relazione agli altri, lì in famiglia, a scuola, nel gruppo di amici. Nel suo relazionarsi con gli altri mostrerà con precisione chi è e dove intende andare. Analisi che l’Autore semplifica senza anestetizzare, indizio preciso di competenza.
Educare è verbo ambiguo, può significare attenzione ma anche mite sopraffazione, ovvero infantilizzazione, educatori che a partire dalle proprie teorie o ideali si ostinano nell’ossessivo progetto sistematico della formazione integrale degli altri, di tutti gli altri - di solito tale tipologia preferisce agire su gruppi sociali che sul singolo - così da imporre e inculcare, al pari degli educatori cinofili, supposte codificate verità assolute. Progetto fisso che fagocita l’altro, calco che produce dozzinali statuine in serie. Educare per Barrilà è esattamente l’opposto, appare chiarissimo in tutti i due libri, specialmente nei resoconti clinici dove lontano da ricette osserva, indaga, fluttua libero ma attento come un giocatore di scacchi, ri-analizzando caso per caso la sua interpretazione, in un processo costante della “conoscenza della conoscenza”. Maieutico spontaneo opera in presa diretta illuminando i nascosti equivoci primari e correlati errori di rotta, così da favorire percorsi vocazionali per quanto possibile liberi.
Non sviluppato, in quanto la tematica affrontata è un’altra, nei due libri c’è un costante sottotesto sociale. Da tempo considero che sarebbe utile uno studio storico, statistico-sociale, che dall’inizio della civiltà conti capi, condottieri, imperatori, statisti e guide spirituali, che mica tanto sani di mente hanno guidato gruppi, nazioni e popoli, così da discuterne insieme i risultati, oltre al chiedermi: salvo lo specifico DNA caratterizzante ogni uomo di pensiero, in che misura il pensiero degli esponenti dell’idealismo è stato influenzato da personali accadimenti fausti? E quelli del nichilismo da avversi? Quanto le tesi filosofiche e le prassi politiche sono state determinate da eventi epocali ma anche condizionate, nel bene e nel male, da episodi dell’infanzia? E in ogni biografia di politici, filosofi, e di tutti quanti, quanta regia procurata da fuorvianti suggestioni nel pensiero per personali -consce, ma ancor più inconsapevoli- dinamiche remote? Insomma le vicende psichiche personali quanto determinano il mondo?
Se la misura risultasse rilevante occorrerebbe riscrive dall’inizio l’intera storia non solo in chiave storico sociale ma anche psicoanalitica. Chiave di lettura abbozzata da Barrilà, che probabilmente avrà sviluppato, a mia insaputa, altrove.
Due moderatissime perplessità:
riguardo la descrizione, forse eccessivamente ingenerosa, riguardo Freud e il suo approccio clinico per Barrilà a taglio tutto sommato neurologico, che per quanto ho letto di Freud (una metà dell’opera omnia) valuto parziale, in quanto, mi sembra, la sua indagine poggiasse su tutt’altro: la persona prima dei suoi neuroni.
Non vengono enucleate e sviluppate le potenzialità sorprendenti del bambino, talvolta capace di reggere situazioni estreme poggiando su se stesso e ancor prima abile nel costruirsi un linguaggio attraverso le parole, senza che chicchessia gli spieghi per davvero come si fa.
Tutto sommato non poteva essere che così in libri che dettagliano esperienze di bambini e uomini in difficoltà. Con loro anch’io. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio».