«Devi leggere Chesterton! Devi assolutamente leggerlo!» Da tempo mi consigliavano da più parti, o meglio più persone della stessa parte, quella cattolica un po’ integralista caratterizzata dall’urgenza di convertire ed educare chicchessia. Non avevano tutti i torti, Chesterton non l’avevo mai letto, per essere preciso mi ero imbattuto in qualche aforisma dello scrittore inglese, ricordavo anche il protagonista di alcuni suoi racconti, padre Brown detective e sacerdote cattolico interpretato da Renato Rascel in una miniserie televisiva di quand’ero ragazzo. Storia che insieme a «Belfagor il fantasma del Louvre» si è un po’ incistata nell’immaginario collettivo dei cinquantenni italiani.
«E dài leggi Chesterton! E dài leggilo!» Mi avevano anche gentilmente inviato a gratis “Ortodossia”, un libro di Chesterton importante, una sorta di autobiografia filosofica. «E dài leggilo!» Di qua; «E dài leggilo!» Di là… Il libro era lì nel quarto scaffale della libreria e l’ho letto. Perché no? In fondo ero anche curioso di incontrare il pensiero di un autore oggi super citato, recensito e rieditato alla grande (l’Opera omnia conta decine di testi e centinaia di articoli).
La recensione a “Ortodossia” non la faccio, ce ne sono di numerose e ben scritte, dico alcune impressioni personali. Lo stile di Chesterton è simpatico, diretto, aforistico. Nel merito scrive disinibito, butta lì a ruota libera. A pagina 43 [edizione Società Chestertoniana Italiana 2008] racconta di monelli di strada, poi inaspettata una sentenza su Nietzsche:
«Il rammollimento cerebrale che da ultimo lo colpì non è stato un incidente fisico. Se Nietzsche non finiva nell’imbecillità sarebbe finita nell’imbecillità la sua dottrina.»
Roba da commento a tarda notte su Facebook di liceale ubriaco, meritevole di interruzione di lettura dell’intero libro, tuttavia ho proseguito considerando - da lì in poi - l’Autore giornalista e non filosofo. Da Nietzsche il massacro sistematico si espande, in un mix altezzoso e paranoico, a mezza storia della filosofia e alle religioni non cristiane. La mancanza di profondità, lo sparare a zero motivando confusamente, oggi diffuso, si aggrava collocando l’Autore nel periodo storico nel quale operava. Chesterton mica aveva i bravi Cacciari e Ilvo Diamanti come interlocutori. A Chesterton (1874-1936) giravano intorno: Freud (1856-1938); Marx (1818 -1883); Kafka (1883 –1924); Proust (1871-1922); Nietzsche (1844-1909). Mi fermo.
“Ortodossia” affronta i temi del vivere e del morire, del pensare, del soffrire, del male, della salute mentale, dell’Uomo e di Dio. Temi cruciali. Qualche aforisma e numerosi passaggi sono degni di citazione e approfondimento, complesso valutare se per coincidenza statistica (sparando molto e a capocchia qualcosa si becca) o per pensiero consapevole. Più si procede nella lettura e più sale la sensazione precisa che qualcosa non va, non per la difesa ad oltranza dell’ortodossia del cristianesimo istituzionale, ma per come Chesterton ci arrivi e la motivi. Nell’introduzione scrive la metafora del suo percorso di uomo immaginando un navigatore inglese che crede di sbarcare in terra lontana e barbara, senza accorgersi d’essere approdato in Inghilterra. Dopo un lungo e faticoso percorso di pensiero e ricerca la verità era già lì. L’Autore spiega:
«… la mia filosofia non l’ho creata io, l’hanno fatta Dio e l’umanità; è questa filosofia che ha fatto me.»
Valuta l’atto di pensiero del singolo irrilevante, patologico, dannoso, invece salvifico l’abbandonarsi quieti alla tradizione religiosa cristiana, meglio se bucolica, rurale, preindustriale, lì sull’isola (l’Inghilterra è un’isola) circoscritta e immacolata ben separata dal continente abitato da tutti gli altri, umanoidi un po’ sciocchini e sicuramente pericolosi. A pag. 86 precisa che manco l’isola separata dal mondo gli va bene:
« Il filosofo moderno mi aveva detto e ridetto che io ero nel posto giusto; tuttavia io mi sentivo lo stesso depresso pur nell’acquiescenza. E dopo aver appreso che ero nel posto sbagliato, la mia anima ha cantato di gioia come un uccello a primavera. La scoperta ha rivelato e illuminato stanze dimenticate nell’oscura casa dell’infanzia. Ora sapevo perché l’erba mi fosse sempre sembrata strana come la barba verde di un gigante, e perché avessi provato la nostalgia di casa a casa mia.»
Intolleranza, superficialità e contraddizioni dell’Autore sono compensate nel metodo da uno stile vivo, a modo suo onesto, in presa diretta. Nel merito dal coraggio di affrontare di petto gli argomenti cruciali dell’essere Uomo. Divertente, suo malgrado, quando si attarda nell’offrire indicazioni per ottenere perfetta salute mentale proponendoci di farci cullare dalla tradizione eterna dell’istituzione cristiana nell’attesa del Paradiso. Proposta quietistica e infantilizzante, mista al bizzarro nichilismo di voler essere angelo invece che uomo. Eppure per l’Autore chi non lo fa è già pazzo o sicuramente lo diventerà. Da leggere.