Conosco e diffido dell’euforia nei riti di appartenenza di scuole, seminari, congressi, manifestazioni di piazza, Facebook e concerti rock live, che si espande dalla pancia del partecipante a tutto il corpo e forse anche più in là, rendicontata dal Salmo 133:
«Ecco, com'è bello e com'è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste…»
L’ipnosi di “dolce bellezza” nei riti collettivi necessita di due ingredienti base per emulsionare: un falso maestro seduto dietro una cattedra (va bene anche in piedi su un palco) e il “suo” gruppo ad ascoltarlo. Musica, Maestro! Lì, talvolta, prende vita una dinamica bizzarra: la cosa cantata, detta o insegnata diventa sempre più irrilevante, primario invece il godimento che gli allievi procurano al maestro e viceversa. Il cuore collettivo inizia a scaldarsi e si desidera che la liturgia continui ad oltranza, che si conservi come un pollo nel freezer, perché al cessare dell’incantesimo si rimarrebbe ontologicamente persi come quando da adolescenti, a fine agosto, si doveva dare l’addio alla fidanzatina tedesca conosciuta in riviera.
Se dovesse capitarci è altamente probabile che dietro la cattedra o sopra il palco ci sia un falso maestro, quelli veri si mollano agilmente.