La visione gramsciana dell’identificare il filosofo reale con l’uomo politico abile nel modificare attivamente l’ambiente afferma, implicitamente, che il pensiero, in sé, non è atto e neppure fatto.
Se così sarebbe necessario individuare il confine preciso, di luogo e di tempo, dove il pensiero da astrazione diventa atto: nel suo declinarsi in parola? In attività muscolare?
Giovanni Gentile affermando il primato del pensiero personale non vedeva separazioni tra pensare e fare interpretando l'intera realtà come manifestazione del soggetto pensante (autoctisi);
anche la visuale cristiana non scorge confini: “peccato di pensiero, parole, opere e omissioni”;
il diritto neppure1 in quanto la premeditazione (mero pensare senza - ancora - fare) costituisce di per sé circostanza (fatto) aggravante (artt. 577 n. 3, 585 c.p.).
1 l'ho appreso da Giacomo B. Contri.