Di tanto in tanto la sera mentre leggo ascolto musica alla radio. Ieri leggevo che secondo Robert von Ranke Graves, “la poesia -come noi la conosciamo- sarebbe una immagine estremamente sbiadita di antichi linguaggi che s'imponevano per la loro capacità di convincere. E questo perché non facevano ricorso alla metafora né al procedimento dimostrativo, ma si presentavano come pura immagine. Solo grazie a questo linguaggio poetico primordiale diventiamo capaci di vedere.”
Alla radio la musica viene interrotta, il programma continua e una conduttrice intervista una signora. Chiacchierano dicendo nulla. Nell’ascoltarle mi torna alla mente quando bambino giocavo nella mia camera mentre voci petulanti arrivavano dal soggiorno, dove mia madre si intratteneva con le amiche. Luoghi comuni, banali sillogismi, voci sovrapposte, volume immotivatamente alto, assenza di pause. Quando qualcuna, per bisogno fisiologico, prendeva fiato l’istante di silenzio veniva rapido violato dalla voce delle comari. Unica nota interessante il profumo di caffè che arrivava dal soggiorno, ma dalla radio neppure quello. Sto per spegnere ma riprende la musica e così considero, pensando al linguaggio poetico primordiale di Graves, che anche se nel corso della mia esistenza molto è in me cambiato un fondamento è rimasto immutato: il senso di essere. In questo istante so che sono, come lo sapevo da adolescente e da infante. Questo "sapere di essere” (metto tra virgolette in quanto sapere non intellettuale) immediato e spontaneo è forse il luogo intimo per esprimere quel linguaggio poetico primordiale. Lì possiamo con mente silente vedere per davvero e dire per davvero. Intanto alla radio la musica sfuma e riprende il dibattito. La conduttrice rivolgendosi alla signora la chiama “Ministra”. Penso ad uno scherzo, invece è vero, la signora è Ministra per davvero. Si, oggi quella tipologia umana non si intrattiene più a chiacchierare con le amiche ingurgitando caffè ma governa l’Italia. La conduttrice chiede della miseria di chi perde il posto di lavoro, dal tono e dalla semantica che utilizza si capisce che non sa di cosa parla. La miseria non sai cos’è se non la subisci senza volerla. Ma alla conduttrice poco importa d’essere empatica, d’altronde perché chiederle tanto quando solo un Dio riuscirebbe a sprofondare senza intellettualismi nella sofferenza altrui. La Ministra risponde con baldanza e butta lì una stupidaggine, poi come procedimento argomentativo opta per una metafora calcistica ed io per un istante sperimento l’odio. Dura poco, ma capisco cos’è, quel giusto che basta per riconoscerlo e circoscriverlo.Bruno VerganiImmagine: drawing di Paolo Polli "IL DELFINO" per gentile concessione dell'autore