Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Suggerimenti improvvisi
Procedere di chirurgica osservazione, ragionamento, inferenza, e se sei Spinoza o Kant giungi a sfolgoranti conclusioni. Per molti altri le conclusioni migliori arrivano invece piuttosto improvvise, come suggerite da una misteriosa entità.
Si potrebbe considerare che tale suggeritore sia nient’altro che l’eruttare improvviso di cose che abbiamo visto, pensato ed elaborato (anche remotamente) che ci albergano dentro, portate alla coscienza da qualche stimolo esterno, o dalla casuale stimolazione di qualche link come quando si schiaccia la serpe nel campo senza farlo apposta, ma non è escluso che il suggerimento ci arrivi da un angelo briccone o da un vecchio demone di passaggio.
Non “gira”
Anche questa primavera è fiorito l’elicriso più preciso di un carillon, ma a differenza di quest’ultimo, o di una sedia, o di un computer che "gira" più o meno bene, non è costituito dalla sua funzione ma si regge e giustifica in ciò che è.
Coerenze fluttuanti
“Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.” (Qoèlet)
Navigare nell’esistenza, quel mutevole oceano personale e interpersonale di ambiente e circostanze non di rado incoerenti, è impresa complessa. Un modo per rimanere a galla potrebbe essere quello di fluttuare attingendo da tutto il repertorio sapienziale disponibile, così da essere epicurei quando il vento soffia in poppa, abbracciare veloci lo stoicismo se all'improvviso ci viene contro e virare di brutto al buddhismo se la barca affonda. Un po' come fa il rametto di rosmarino che se ricoperto di terra invece di soffocare nel buio trasforma le sue foglie in radici.
Dicono sia più virtuosa una coerenza ostinata ad un ideale, però è anche il modo più sicuro per rompersi le corna.
Vanitas vanitatum
Chissà che piega prenderebbe la seduta psicoanalitica se, semisdraiato sul divano, ci fosse il figlio di Davide, re a Gerusalemme in persona, a sciorinare il Qoèlet?
« Del riso ho detto: “Follia!” e della gioia: “A che giova?” […] Tutto è vanità e un correre dietro al vento. Non c’è alcun guadagno sotto il sole […] tutti i suoi giorni [dell’uomo] non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità! »
Scala di grigi
“Ciò che potremmo chiamare il metodo delle scienze consiste dall’imparare dai propri errori in modo sistematico: in primo luogo, correndo dei rischi, osando commettere errori”[1].
Se la scienza si credesse infallibile non sarebbe più scienza; se la scienza pur riducendo per quanto possibile il rischio non osasse sbagliare imparando gradualmente dagli errori, non sarebbe più scienza. In effetti l’infallibilità attiene e appartiene a tutt’altri paradigmi, da quello dell’idiota patentato che non deve chiedere mai a quello dei dittatori che perseguono binari àut àut, al mago che pretende di assoggettare la natura in un sol colpo, fino a quello delle confessioni religiose ancora convinte dell’inerranza biblica o dell’infallibilità del Magistero, o di particolari oggetti con poteri miracolosi garantiti e cose del genere.
La storia dà prova che coloro che si sono mossi consapevoli della propria fallibilità e attingendo da questa -"Fallisci ancora, fallisci meglio" (S. Beckett)-, alla fine hanno errato di meno rispetto a quelli che si sono mossi all'interno di paradigmi di infallibilità (scienziati inclusi).
Verosimile che l’imperversante desiderio di traslocare la scienza dal fallibile all'infallibile, buttandola via per intero se il trasbordo non riesce, derivi dal fatto che non si è più abituati a pensare in scala di grigi, vale a dire di considerare l’effetto causale e le misure di efficacia, l’impatto nel contesto, la quantificazione dell’incertezza, il rapporto danno/beneficio e via dicendo. Complessità che non può essere o bianca o nera, come non lo è l'esistenza.
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1 Karl R. Popper, Il mito della cornice, difesa della razionalità e della scienza; il Mulino, Bologna 1995, pag. 128.
La strana potenza del ghiribizzo
Anche se sulle targhe di tutte le auto del New Hampshire c’è scritto “Live free or die”, “Vivi libero o muori”, non abbiamo prova che possiamo esercitare un libero arbitrio incondizionato. Affermare una assoluta sovranità personale è congettura azzardata visto che in natura non esiste, e per quanto se ne sappia pure Dio obbedisce a sue leggi stabilite.
Eppure tutti noi possiamo -io posso, tu puoi e può anche lui; possiamo non solo nel senso di possibilità ma di effettivo potere- compiere, per puro piacere, immotivati colpi di testa tra loro opposti, o attardarci in spiazzanti ghiribizzi solo perché ci garba, o assentire di una proposizione che sappiamo sicuramente falsa e dissentire di una che sappiamo certamente vera, così, per sfizio, del tutto indifferenti a spiegazioni, ordini, misure, intimazioni e sanzioni che ci richiamano a un ordine logico di realtà stabilito. Anarchici e sovrani possiamo delirare senza recedere fino alle più estreme conseguenze, così, a capocchia, per capriccio dionisiaco.
Tutti esempi di umane irriducibilità che manifestano un livello di potere personale che rasenta l'assoluto, sì personale dunque parziale epperò, nella sua propria circoscrizione, assoluto, con conseguenze che si estendono anche all'esterno. Homo sapiens specie davvero strana, tanto mirabile quanto pericolosa.
Sotto vuoto extra super spinto
Testi di filosofia analitica riportano elenchi esaurienti di fallacie argomentative corredate da frasi esemplificative, ma se oltre a tutte le fallacie codificate e di maggior uso vogliamo conoscere anche quelle più rare, meglio monitorare l’argomentare dei fondatori di confessioni religiose con pretese di universalità.
Non è operazione da poco convogliare "razionalmente" Dio, natura, mondo, storia e umanità intera, imprigionandoli dentro una piccola bolla. Per farceli stare un qualche trucco bisognerà pur concederselo[1].
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1 C'è un passaggio che trabocca, necessariamente, di errori argomentativi. Quello che afferma, con fede e ragione, un teismo in senso lato concludendo, con entusiasmo e sragione, che quel Dio è rappresentato da una specifica ed esclusiva confessione religiosa. Un procedere imparentato può accadere anche nelle ideologie; parentela di primo grado visto che le derive totalitaristiche trasformano le ideologie in religioni e le religioni in ideologie.
Com-prendere
Chi è molto diverso da noi ha le su buone ragioni per esserlo, un abile stratagemma per indagare e comprendere quelle ragioni è diventare lui, giusto un po' come fanno gli attori quando entrano nel personaggio. Più l’altro ci sarà distante più constateremo l'efficacia di questa astuzia conoscitiva.
Chi proprio non regge i giocatori di golf americani che si affretti nell’esercizio di entrare con umiltà nel loro paradigma psichico e ambientale, chi prova ribrezzo per lo strozzino foggiano che lo diventi per mezz’ora, e quanti inestimabili tesori esistenziali troverà nel mettersi nei panni di una pornodiva slovacca o di un cattolico conservatore. Davvero un peccato che quest'ultimo per principio rifiuti l'esercizio.
La povera crista che tutto sgretolò
"Ancora oggi, le renne della tundra trasportano tribù di nomadi
che percorrono migliaia di chilometri in un anno...
E a vederli mi sembrano felici,
ti sembrano felici?" (Franco Battiato, Caffè de la Paix, EMI 1993)
Il teologo Raimon Panikkar (1918-2010), nato a Barcellona da madre catalana cattolica e padre indiano induista, filosofo, sacerdote cattolico, scrittore, docente, mistico, guida spirituale e fautore dell'incontro tra le religioni, è stato autore di oltre 60 libri e di diverse centinaia di articoli. Nella sua lunga e intensa vita quale sarà stata la rivelazione più grande che, uno così, può aver avuto? Una rivelazione teologica, oppure sacramentale, magari filosofica, ovvero una illuminazione mistica? Niente di tutto questo ma l’incontro avvenuto in India con una donnina di età indefinita, 30 o 60 anni, incontrata casualmente per la strada.
Miserabile che più di così non si può, abbandonata da un marito alcolizzato, circondata da numerosi figli piccoli. Quella donna stava per morire e i suoi figli sarebbero rimasti sulla strada a morire e lei lo sapeva bene. Panikkar era un giovane prete e mosso dalla educazione cristiana ricevuta, “piangi con quelli che piangono”, si era avvicinato per consolarla con qualche buona parola, ma avvicinatala tutti i suoi concetti e propositi gli si gelarono nella bocca e nel cuore: quella donna era gioiosa. Panikkar non interpreta questa inconcepibile gioia frutto di concezioni induistiche che vedono la realtà fisica una mera illusione, e neppure conseguenza di una religiosità che spera in una soluzione che avverrà in un futuro migliore, immanente o trascendente che sia, perché quella donna manco era religiosa, era niente di niente.
Eppure, considera Panikkar, in quella esistenza disastrosa forse l’esperienza di alcuni istanti di gioia nell’essere madre, forse qualche attimo di sesso piacevole, o di tanto in tanto l'aver potuto godere della bellezza del sole, le bastavano per morire con gioia, riconoscente di essere stata invitata al banchetto della vita. Questi istanti piacevoli nel disastro totale le bastavano. Panikkar in quella fede nuda per la vita ha visto in un istante tutta la superficialità e l’inconsistenza delle nostre complicate concezioni, teologiche incluse. La vita è molto più semplice e più profonda.
Si può visionare l’intervista nel documentario L'arte di vivere - Raimon Panikkar - il Filo d'oro, apri qui.
Le ignote sorgenti del valore
In un’ottica teistica l’origine dei valori è chiara e semplice, ingenua e semplicistica per chi preferisce, infatti i valori sono per così dire promulgati da una verità razionale superiore che ce li rivela, di solito a mezzo libro. Ipotesi indimostrabile e altamente rischiosa quella di individuare la sorgente del valore in un assoluto sovrannaturale, conosciamo bene le derive assiologiche che questa narrazione ha prodotto nella storia. In fondo i valori scesi dal cielo sono niente di più che valori culturali che ipostatizzati, vale a dire gonfiati di una sussistenza che di per sé non possiedono, sono fatti ascendere al cielo e lì assunti ridiscendono dagli umani creatori, temprati in una fucina celeste che li ha resi assoluti e immodificabili, quindi incontestabili.
Se escludiamo l’origine sovrannaturale dei valori dobbiamo concludere che i valori non possono che provenire dalla cultura o sorgere dalla natura, ma accettando queste genealogie incontriamo altri problemi. Se i valori sono culturali significa affermare che sono delle invenzioni umane, più o meno condivise, che mutano con i tempi e i luoghi. Insomma ci troviamo costretti a riconoscere un relativismo dei valori, un rendere il valore relativo alle preferenze del soggetto, o alle preferenze di gruppi. In effetti la storia ci conferma che ciò che era considerato valore in un certo periodo e posto, può rivelarsi disvalore in altri tempi e in differenti luoghi.
Se i valori sono invece naturali? Qui le cose si complicano ulteriormente. Esistono valori naturali? Si può affermare che la natura sia retta, giusta, nobile, onesta o cortese? Operazione impossibile visto che l’amorale natura (prescinde da morale) rigetta[1] qualsiasi giudizio e aggettivazione che gli appiccichiamo addosso (fallacia patetica), quindi i valori non possono scaturire da una sorgente che ne è priva.
Eppure a parte qualche serial killer e mafioso incallito tutti noi perlopiù sentiamo, pur senza sapere da dove provenga e poggi questo percepire, che ci sono pensieri, parole e azioni giuste e altre meno giuste, una sorta di percezione valoriale istantanea, a priori, stabile, universale, aurea, di ciò che è bene. Indizio, questo, che il valore poggia sull’essere e deriva dall’essere, in un istantaneo sentire contemplativo dove valore e essere[2], se preferiamo moralità e verità, sono un tutt'uno. Anche se l'essere (quello con l'articolo determinativo) è termine non scevro da ambiguità, se lo intediamo come l'esserci di un soggetto in relazione con l'esserci di altri soggetti in questo mondo, la coincidenza valore-essere è forse l’ipotesi più solida, anche se un po’ misteriosa, per spiegare l’origine del valore. A partire da qui il valore va, di volta, in volta, declinato in valori relati alla particolare situazione storica e contesto specifico, operazione che non ha nulla da spartire con l’arbitrario relativizzarlo o ipostatizzarlo.
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1 Si potrebbe osservare che anche noi apparteniamo alla natura e siamo natura, pertanto la cultura che produciamo è anch’essa natura o cumunque proviene dalla natura (sinechismo). Partendo dall’assunto si potrebbe proseguire con una imprudente fiammata di esaltazione antropocentrica, concludendo che i giudizi e gli aggettivi che Homo sapiens esprime sulla natura non sarebbero delle avulse e non richieste proiezioni che le appiccichiamo addosso, ma il traguardo di un processo evolutivo dove la natura prende coscienza di sé.
2 Nell’induismo il termine sanscrito Satya esprime nel contempo significato di verità e di realtà.