Le scarpe del morto
Avevo sofferto per la morte di mio padre, lo pensavo e mi mancava, ma trascorso qualche mese avevo trovato le sue scarpe nel ripostiglio. Erano quelle vissute, stivaletti marroni logori che usava per lavorare in campagna.
Siccome dovevo sistemare il prato li avevo calzati. Nel tagliare l’erba pensavo a lui e nel guardarmi le scarpe avevo sentito la sua presenza dentro di me, più o meno nello stomaco. Percezione inequivocabile: era vivo in me. In quell’esperienza un po’ antropofaga il dolore si era sciolto. Inaspettatamente potenti le scarpe del morto.
Elogio del «?»
I libri filosofici meno utili sono forse quelli caricati di parole implementate per colmare difetti e vaghezza di ragionamento, parole che tentano di rappezzare in corso d’opera passaggi viziati del discorso che così si corrompe in perpetuo.
Più dicono più complicano. Più complicano più dicono.
In tal caso sarebbe proficuo, per tutti, che gli autori di tanto in tanto raggiungano meta nell’affermare un espresso e consapevole «non lo so».
Mica il lettore cerca un assoluto e definitivo sapere, ma stimolo al personale pensare. Meglio, dunque, qualche punto interrogativo che stimoli risposte invece che noiosissimi passaggi rompicapo a oltranza che nulla risolvono. Se all’autore non piacciono i punti interrogativi remi, poi scriva preciso e semplice. Il problema è tutto suo.
Ecoappartenenza. Francesco d'Assisi
Singolare un uomo che nel concepirsi creatura fatta a immagine e somiglianza di un Dio che vede "altissimo e onnipotente" poi giudichi "fratelli" il vento, il fuoco, il sole e “sorelle” l’acqua, la terra, la luna, le stelle e la morte corporale.
Soggetto integralmente religioso e nel contempo preciso antesignano darwinista dell’ecoappartenenza.
Non so se l’uomo viene dagli animali, ma nel considerare l'esemplare Francesco d'Assisi lo vedo - da qualsiasi parte arrivi - bestia peculiare davvero strana.
Survival
Come va?
Si tira…
Salmo responsoriale della sopravvivenza che, dai e dai, si sta recitando in massa.
Mica fa bene ripeterlo a eccezione della variante lavorativa, quella del tirare le reti a bordo della barca per raccogliere il pesce.
Prima bisogna remare.
Filo rosso, filo nero
Nelle biografie la storia del protagonista, quella palese, è prodotta dal suo incessante mutare; se rimanesse fissa sarebbe una misera narrazione.
Eppure il nucleo della storia alberga nei fattori stabili della persona: il filo rosso della vocazione e quello nero della abdicazione da sé.
Lì andrebbe svolta l’indagine perché ogni storia è dettata da questo nascosto interagire. Accidenti e fortune mere contingenze catalizzatrici.
Preciso interesse
Amore? Eros, agape, caritas, quanti equivoci e ibridismi.
Da quelle parti c’è di tutto nel bene e nel male, compresa l’immolazione all’altro sostenuta da larvata egolatria.
Per emanciparsi dal ginepraio un buon modo è quello di perseguire il lavoro di una amicizia con l’altro che rinvigorisca l’“Io” di entrambi procurando immediato vantaggio personale per tutti e due, ancor meglio anche per qualcun altro. Il resto è sospetto.
Embé? Vabbé. Ormai. Mai.
Indicative di precisi e severi malesseri le affermazioni vabbé, ormai e mai (vedi articolo di G.B. Contri).
Consideravo nella rimozione nevrotica, faccenda meno grave che riguarda ciascuno, di rilevare l’“embé?” nei significati di “e allora?”; “non me ne importa nulla!”; e di paranoica sfida “cerchi rogna?”
Occhio ai soggettivi e collettivi embé? vabbé, ormai e mai.
Funzionamenti
Non mi piace la filosofia quando esige corretto funzionamento, quando giudica scorretto ogni dire fluttuante, danzante, a priori. Quando valuta l’intuizione delirio oracolare e rigetta aforismi estemporanei esigendo, senza mai transigere, “scientifici” argomenti a posteriori. Il filosofo più funzionante, quello accademico, passa la vita a leggere altri filosofi poi diligente li ricapitola in ordine, come un contabile sul libro dei corrispettivi, tira le somme e omettendosi le divulga. Comprensibile, quando così, la diffusa disaffezione alla disciplina.
Non mi piace neanche una ecoappartenenza a un presupposto funzionamento cosmico perché l’universo si espande strano e non è escluso che il percepirsi coautori, invece che infinitesimali elementi dell’ingranaggio, sia più vicino alla realtà che al delirio.
Funzionare è fungere: adempiere obbedienti a un ufficio senza averne nomina e grado, assolvere la funzione di qualche altra cosa. Mica è umano.
Elogio della normalità
Idealizzare sé stessi è aprire porte a forze che ci rendono insoddisfatti: sentimenti di grandezza, di inquietudine del cuore e di struggimento per desideri di bellezza e di pienezza smisurati, assoluti.
Tutto sommato è proprio nell’idealizzazione di sé, nella recondita concezione della personale unicità superiore all’Altro, a tutti gli altri, che si annida ogni timidezza nel potenziale disprezzo di sé medesimi, inevitabile altra faccia della medaglia di ogni idealizzazione.
Meglio, ben consapevoli del personale limite, la pacata soddisfazione invece di impotenti onnipotenze.
Spiritato eroico furore
Entusiasmo dal greco enthusiasmòs: "indiamento".
Singolare che "indiamento" sia lemma raro e circoscritto invece "indiavolamento" imperversa, ma va bene così: tutto sommato sono quasi sinonimi.
I dizionari dicono che in latino enthusiasmòs si trasforma in “fanaticus” «ispirato da una divinità, invasato da estro divino, derivato di fanum "tempio"».
Invasati sani sono solo i gerani eppure quanta prossimità nel satanismo provinciale e in quello di scrittori romantici e dacadenti con la mistica religiosa, strano che siano rivali.