La casa di Henriette
Si possono vedere le cose in un determinato tempo e luogo nella loro empirica concretezza, modo che i filosofi definiscono con il concetto di ontico, oppure attraverso l’approccio ontologico che, prescindendo dallo spazio geografico e dal tempo storico, prova ad indagare la radice universale dell’essere. Il romanzo di Domenico Barrilà “La casa di Henriette", con sottotitolo “Lontano. Fino alle tue radici”, Sonda Edizioni, si muove compenetrando i due livelli.
Giunto nel penultimo atto della sua esistenza l’Autore ci illustra una singolare vicenda autobiografica. Messina, Gran camposanto, non più adolescente ma non ancora uomo nel far visita alla tomba dell’amato padre inciampa in quella abbandonata di una bambina dal nome straniero, morta nel 1883. Momento epifanico. Da quell’istante una forza ignota lo attirerà in quel luogo e lo muoverà alla vita. Restaurerà e curerà quella tomba dimenticata da Dio e dagli uomini e nei decenni a seguire indagherà per conoscere e decifrare quella bambina. Indagine storica e metafisica.
Come in ogni autobiografia, e in ogni vita, anche in questa la parte più potente sta all’inizio, dove viene affrontata la sofferenza irredenta del bambino orfano di padre e della misteriosa bambina morta prematuramente: il dolore dell’umanità tutta. Sofferenza che senza ragione colpisce gli innocenti, così, a capocchia, di fronte alla quale può risultare ragionevole teorizzare la schopenhaueriana mistica pacificante del meglio non essere mai stati. Tentazione di sempiterna immobilità che il protagonista supera nell’adottare quella tomba, atto che inventa e costruisce un senso al mondo.
Bello lo stile del romanzo grazie all’intercalare di episodi di vita, nei primi capitoli perlopiù vita di strada, mischiati a riflessioni che rasentano, piacevolmente, il saggio. Barrilà è psicoterapeuta, ma il romanzo non è per nulla psicologico, eppure per dinamica osmotica conduce il lettore a riflettere -nel senso di rispecchiarsi e di meditare- su nodi e snodi della personale biografia. Tre le forze in campo, la gloria dell’insensato inorganico, l’umana iniziativa che gli resiste e la natura coi suoi cipressi che si flettono alle raffiche di vento; natura che riordina le cose e consola nel suo potente esserci.
L’indagine per conoscere l’identità della bambina porterà l’Autore in luoghi lontani e vicini, in tempi presenti e remoti, contigui alla sua figura fino ad intercettare dei suoi lontani parenti. Alcuni capitoli del romanzo si attardano, forse più del necessario, nel dettagliare nomi, date ed eventi storici. Un rendicontare vicende ottocentesche e dei primi del Novecento comunque utile, specialmente oggi, per cogliere quell’intreccio di accadimenti che hanno forgiato il nostro continente attraverso scambi e contaminazioni proficue quanto dimenticate.
Il cerchio si stringerà sempre di più e non si staccheranno gli occhi dal libro per sapere chi era quella bambina. Alla fine il suo volto ci sarà svelato, senza però trionfare, l’Autore sa che l’avevamo capito dalle prime pagine che quella bambina era la sua anima.
Domenico Barrilà
“La casa di Henriette – Lontano. Fino alle tue radici”,
Sonda Edizioni
Il nucleo
Sbucciando come una cipolla l’accadimento d’essere vivo ho rimosso gli aspetti vitali del relazionarsi, potere, agire, intendere, volere, riflettere, scegliere, conoscere, emozionarsi, pensare a questo e quello e ho constatato che, invece di vegetare, ero ancora pimpante nel corpo che funziona autonomo e permette il piacevole pensiero: sono.
In fin dei conti necessitiamo davvero di poco già immersi in questa abbondanza.
Resoconto dell’indicibile
Non era intangibile perché posizionato tanto in alto da risultare irraggiungibile come i biscotti in cima alla credenza, era ineffabile perché in progress. A tratti acciuffabile nel suo movimento.
Fagocitosi storico-sociale
Aristotele collocava l’uomo al vertice della natura perché lo vedeva, a differenza delle piante e degli animali, provvisto di un’anima intellettiva di origine divina. Nel contempo giudicava, per natura, i Barbari inferiori agli Elleni come lui.
Se uno del suo genio era tanto condizionato dall'ambiente storico sociale al punto da remare contro il suo stesso pensiero, che accadrà a noi figli del nostro tempo che Aristotele non siamo?
Contenuto/contenitore
Basta osservare un erbario con i campioni di piante secche belli incorniciati, o anche gli animali imbalsamati al museo di scienze naturali, oppure gli ottomila -più o meno- morti rinsecchiti, ma vestiti di tutto punto nelle Catacombe dei Cappuccini a Palermo, per concludere: più è bagnato e più è vivo, più è secco e più è morto; non aveva, poi, torto Talete di Mileto nell’affermare che l’acqua è il «principio» che genera tutte le cose.
L’erbario lo si osserva con nonchalance, l’orso impagliato con una punta di perplessità e le mummie di Palermo con una leggera ma persistente nausea dallo stomaco alla testa, però se si ha la fortuna di avere un accompagnatore saggio, come quello che avevo io, la nausea passa alla svelta grazie a quel suo: «Noi, qui, siamo interessati al contenuto (spirito, io, anima e pensiero che furono) non al contenitore (mummia agghindata).» Nelle Catacombe dei Cappuccini l’esperienza di leggera ma persistente nausea dallo stomaco alla testa è attivata da:
1 pornografica plastica visione del pulvis es et in pulverem reverteris;
2 dal considerare la distanza fra quei sacchi vuoti e quello che prima c’era dentro e che, per un misterioso spiazzante gioco di prestigio, non è più là senza però essere andato da qualche parte.
Ricordo che dei miei conoscenti rimanevano perplessi non vedendomi mai al cimitero e adesso, che mamma e papà sono in un ossario comune perché non avevo pagato il rinnovo del loculo, mi tengono il broncio. E' che mi era parso un buon modo per onorarli non facendoli coincidere con una clavicola e un osso sacro.
La dinamica contenuto/contenitore; quella di uno spirito infuso nel corpo come il fiore di camomilla cede la sua essenza all’acqua calda, non è faccenda che è iniziata coi monoteismi, ma è già enunciata puntualmente da Aristotele: «L’intelletto [che è nell’anima] viene dal di fuori e solo esso è divino» mentre tutto il resto albergherebbe in potenza nel germe maschile, oggi diremmo DNA. Come dal di fuori l’intelletto sia entrato nel corpo Aristotele non lo spiega -la grecità classica non contemplava un Padre Creatore- e manco io lo so, però fintantoché non si ha risposta l’ipotesi, nella sua logicità, è tutta da considerare.
Nappola, Potenza in atto
Appiccicato con le sue spine sulla coda del cane il frutto della nappola è caduto a una decina di metri dalla pianta madre. La pioggia d’autunno ne accelera la marcescenza e più si corrompe riducendosi nel fango e più i semi che contiene si espandono e vitalizzano. Potenza in atto.
Che fa e dove abita questa potenza prima dell’accadere dei movimenti e mutamenti che produce? Forse non è da nessuna parte, compare nel funzionamento della natura che, di volta, in volta, la crea nel suo autonomo moto. Circostanza non meno strabiliante di un suo preesistere.
logici gineprai
Si presuppone che il conoscere la storia della filosofia favorisca un pensiero chiaro e lineare. Anche se si incontrano hegeliani convintissimi di estrema destra ed hegeliani convintissimi di estrema sinistra, tutti in perfetta buona fede, non ci si fa tanto caso. Ma è quando si affrontano seriamente Platone e Aristotele che iniziano i problemi: questioni sull’autenticità delle fonti, controversie sull’evoluzione degli scritti, gineprai sulle dottrine non scritte, ermeneutiche ed esegesi dei testi per nulla univoche nell’interpretare complessissime poliedricità e polivalenze…
Aridatece la Bibbia!
Misteriosa compagnia
Un tutt’uno mica può vedersi, ci vuole un altro. La circostanza che anche se soli possiamo riflettere, pensando il nostro pensare, è prova che siamo in misteriosa e costante compagnia[1].
_____________________________
1 Roberto Calasso nel saggio «L'ardore» illustra la dinamica: "Dal Ṛgveda alla Bhagavad Gītā si elabora un pensiero che non riconosce mai un soggetto singolo, ma presuppone al contrario un soggetto duale. Così è perché duale è la costituzione della mente: fatta di uno sguardo che percepisce (mangia) il mondo e di uno sguardo che contempla lo sguardo rivolto al mondo. La prima enunciazione di questo pensiero si ha con i due uccelli dell'inno 1, 164 del Ṛgveda: «Due uccelli, una coppia di amici, sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda». Non c'è rivelazione che vada oltre questa, nella sua elementarità. E il Ṛgveda la presenta con la limpidezza del suo linguaggio enigmatico. La costituzione duale della mente implica che in ciascuno di noi abitino e vivano perennemente i due uccelli: il Sé, ātman, e l'Io, aham."
Assegnamento fiduciario
Diffidava dei monoteismi ma percepiva inutilmente faticosa e annoiante la credenza che tutto dipendesse da lui, nello spazio concessogli dall’insensato accadere delle condizioni.
Preferiva scorgere nell’accadere delle circostanze quote di un ordine benevolo con le quali allearsi.
Copia originale
Di fronte ad un'opera del naturalismo pittorico che impeccabile riproduce uno scorcio di natura, considerando l’immagine reale da dove è stato attinto si potrebbe cinicamente considerare: «Era meglio l’originale».
Un platonico bello spinto, considerando il mondo perfetto delle idee da dove quello scorcio reale di natura deriva, potrebbe ancora affermare: «Però sarebbe meglio l’originale», giudicando quello scorcio di realtà del nostro mondo un immanente imperfetto albergante nella sua perfezione in un trascendente iperuranio. Stando così le cose giudicherebbe il dipinto espressione ancora più misera, perché copia della copia.
Non possiamo escludere che incaponendoci nel cercare il regno della realtà pura e assoluta indicando un più in là ad oltranza diventiamo, nostro malgrado, un po’ nichilisti. Plausibile che l’iperuranio abiti semplicemente nella testa di Homo sapiens e da nessuna altra parte e che l’artista compia elaborazione lodevole connettendo il quaggiù che vede col lassù che ha in testa.