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“ Caro Bruno mi tocca dissentire.
Penso che non possiamo azzardare granché sull’esistenza del Senso della vita, neppure che ci sia o che non ci sia, né dove e come si possa catturare nel caso ci fosse. Ma “proclamare” la sua inesistenza mi pare eccessivo e gratuito. Che possa essere una “fissa” di taluni, deformati dalla smania di “capire tutto” ci sta, ma tale eventualità (ovviamente da accertare a dovere) non basta per argomentare l’assenza del Senso.
Peraltro, per me l’obiettivo strategico del (mio) pensiero non si limita a sviscerare “solo quel Senso (della vita)”, che hai confinato al soggettivo, ma coinvolge l’intero Senso dell’Essere, se c’è. Il Problema è quello ontologico e deve rispondere al perché estremo, all’ultima domanda e all’ultima risposta. Ergo la soluzione, se c’è, dev’essere anch’essa ontologica. Se non ci fosse dovrebbe esserne accertata l’assenza, cosicché la risolverebbe in ogni caso. In tale orizzonte temo che il soggettivo o l’individuale siano del tutto trascurabili ed evanescenti. Il Senso o la Verità sono esauriti ed esaustivi se sublimano nell’Assoluto, comunque esso sia. E anche se “questo” non ci fosse, tale modo d’essere dell’Essere, sarebbe alfine esso stesso assoluto (assoluta assenza dell’Assoluto), in quanto terminale e incontrovertibile (Severino). Resta la questione della necessità, come risposta /soluzione dell’Essere. Nella situazione relativa in cui ci troviamo, cotanta mi sembra un’ipotesi come un’altra. A differenza delle proposte religiose, tutte e giustamente fondate su un qualche afflato di Senso e perciò escatologiche e trascendenti, la necessità che svetterebbe in assoluta, potrebbe tranquillamente esprimere un essere e un divenire assoluti e, allora si (ecco lo sballo travolgente e angosciante), senza Senso: la forma estrema di Nichilismo.
Grazie e ciao, Guido ”