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“ Le note autobiografiche sull’Oriente non vanno evidentemente equivocate con un saggio critico sull’Advaita Vedanta, che esigerebbe ben differente stile e approfondimento. Preciso che la stima, quasi la devozione, per Nisargadatta Maharaj è tale che quando avevo scritto l’autobiografia l’incipit mi era stato stimolato dal suo pensiero:
«Torno al primo ricordo, nell’osservare il fuoco di una stufa percepivo di esistere. Fuoco d’essere sorto spontaneo non so da dove, non conosco il perché, non so come. Senso di essere che è ancora qui immutato.
E’ l’unico capitale che ho. E' l'unico problema che ho.»
Permane perplessità nell’approccio “vedantino” di quegli occidentali che pontificano il pensiero di Nisargadatta elargendo impressione somigliante a quando si ascolta un’ opera di Puccini interpretata da soprano coreana. Anche se canta in modo corretto c’è al fondo qualcosa che non torna, un sottile artificio serpeggia e non convince.
Perplessità anche nel merito: la concezione “Se nessuno nasce nessuno muore” come sentenziava Nisargadatta evoca otorinolaringoiatri capaci di far passare il mal di gola con un colpo di pistola alla nuca: successo garantito, incontestabile, ma quanto proficuo? ”