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Ancora sul concetto di libertà e obbedienza in CL trascrivo questo commento di un ciellino che contesta le critiche del recente libro sul movimento di Ferruccio Pinotti. Mi pare - leggendo questo testo - che chi scrive sia veramente convinto di essere libero e lo argomenta in modo, almeno apparentemente, forte. Ha ragione lui o hai ragione tu?

"la parte più comica è stata quando si è affermato che il ciellino è obbligato ad obbedire ai propri superiori come a Dio. Ma chi ve l’ha detta ‘sta roba? =D Manco nella Chiesa tout-court è mai stato vero, ma neppure nei periodi di guelfismo più nero! L’obbedienza non scavalca mai la libertà personale, non lo fa mai in nessun libro di Giussani che io mi ricordi (a proposito, ma ne avete letto qualcuno? In bibliografia ce ne sono 3, e nessuno di concetto -tutti storiografici. Ci credo che poi si prendono ‘sti abbagli!). Tanto che, da che io mi ricordi della mia educazione ciellina, è sempre stato considerato migliore disobbedire con coscienza, che aderire acriticamente. L’obbedienza ha senso se ti aiuta a capire che la cosa più giusta da fare per sé stessi è qualcosa ‘oltre’ la propria momentanea pulsione. Una funzione educativa, non tirannica. A volte assume contorni drammatici, specialmente se si tratta di obbedienza a figure riconosciute di magistero della Chiesa, come i vescovi etc (e non ai capetti locali o ai capocasa, che di certo non avranno mai la stessa autorità). Ma l’obbedienza parte sempre dalla CERTEZZA che l’altro dica le cose per il tuo bene, per farti crescere. Se viene meno questa fiducia, non c’è obbedienza che regga. Posso capire che, vista l’opinione che molti denigratori del movimento si sono fatti di CL, la cosa possa sembrare assurda, ma le cose stanno proprio così. Si obbedisce a chi si ama, mai nient’altro (specialmente, mai viceversa!). Che poi qualcuno dei ciellini abbia scelto la strada facile, obbedendo senza più colpo ferire, può certamente darsi. Ma questi sono un problema (prima di tutto per sé stessi), non un prototipo."